Adriano PETTA
Ladispoli (Roma)

1984: l'idea musicale


Caro signor giudice,
questa lettera certamente gliela leggerà sua figlia: non faccia alcun tentativo per rintracciare il luogo di provenienza, perché ho incaricato una persona fidata d'impostarla in Europa, lontano dal luogo dove mi sono rifugiato.

Signor giudice, sono quello dell'idea musicale: si ricorda di me... vero? Qualche anno fa, fui l'imputato di un processo a cui non partecipai... e nel quale lei fu costretto a mettere al bando i miei brani. Non stia ad angustiarsi: cosa potevano fare un giudice quasi cieco... ed un povero cristo come il sottoscritto? e con i nostri affetti più cari minacciati? Lessi tra le righe dei quotidiani che il processo non fu che una farsa... e non poteva essere diversamente. Ora che quella storia è definitivamente sepolta, mi sono detto che almeno lei avrebbe dovuto dividere con me il briciolo di speranza che sta dando un senso alla mia vita. Sto scrivendo per raccontarle l'antefatto... e, soprattutto, l'epilogo: le sarà ancora più chiaro perché affidarono il processo a lei, praticamente impossibilitato a leggere, e quindi in grado di legiferare con la mente lucida, non annebbiata dalla lettura delle mie idee musicali.

Ma veniamo ai fatti. Tutto cominciò qualche anno fa. Lavoravo presso una ditta di calcolatori, con un modesto stipendio, lottando per far quadrare i conti alla fine del mese. Sia mia moglie che io ci dedicavamo completamente ai nostri due gemelli... un maschietto ed una femminuccia. Era una battaglia giornaliera per strapparli al televisore ed avviarli alla lettura, allo sport, alla musica: una lotta senza risparmio di energie... mi creda! A volte eravamo presi dallo scoramento, ma il pensiero che - in quello stesso momento - c'era gente intenta a programmare la diffusione dell'ignoranza, ci faceva rimboccare le maniche.

All'improvviso, in coincidenza con dei forti disturbi allo stomaco, incominciò la caduta dei miei capelli. Vedendo la mia chioma folta e riccia diradarsi a vista d'occhio, tentai ogni possibile rimedio... senza risultato alcuno: la calvizie era inarrestabile. Nel frattempo, la piccola azienda dove lavoravo, aveva cessato la sua attività. Riuscii a trovare lavoro presso la succursale italiana d'un colosso americano, proprio a Roma, e spesso dovevo recarmi in missione all'estero. E feci quel viaggio. Ancora ricordo il mercatino povero e chiassoso, il sacchetto d'erba arancione e profumata, la mia curiosità, la vecchietta che non mi capiva... ma che indicò la pelle liscia del mio cuoio capelluto, il ritorno a Roma con la mia borsa della speranza, gli impacchi continui, le notti intere con il fanghetto profumato sulla testa, gli sberleffi dei miei figlioli. Poi, dopo pochi mesi, i primi segni: i capelli stavano ricrescendo. Riuscii a procurarmi altri due sacchetti. Ogni notte dormivo con l'impacco di erbe arancioni sul cranio. Dopo un anno circa, riebbi la mia capigliatura, nera, folta e riccia. Ma continuai ugualmente con le applicazioni, una volta alla settimana.

La mia azienda - nel frattempo - mi aveva assegnato al reparto strumenti musicali per mettere a profitto la mia naturale predisposizione per la musica... Sì, signor giudice, passai al centro studi dell'informatica musicale: stavamo progettando un sofisticatissimo calcolatore elettronico... capace di imitare un'intera orchestra! Era un progetto ambizioso, il lavoro andava avanti... ma cominciai ad avere le idee confuse, a vivere con ansia le mie contraddizioni. Sentivo che non era giusto quello che stavamo facendo: la musica - almeno lei! - non doveva cadere completamente nelle grinfie dell'informatica. Capivo che - nel mio piccolo - stavo contribuendo alla realizzazione della desolante profezia di Orwell... e mancavano pochi mesi al 1984!

Una notte me ne stavo in salotto, seduto in poltrona, accanto al balcone: in testa, il solito impacco profumato. Fuori c'era la luna, limpida, luminosa. M'ero assopito. La mia mente vagava in un labirinto di sigle e di ombre, i programmi sempre più sofisticati che immettevo nel computer assumevano sembianze di mostri che vomitavano note stridenti, e questo stridulo esercito mi scagliava verso nuvole di fuoco che si squarciavano... ed all'improvviso compariva il volto di George Orwell con un ghigno orribile, mentre le sue mani si materializzavano e si protendevano verso di me brandendo un disco di fango rosso con al centro, incisa e fumante, una data: 1984!

Mi sciolsi dalla caligine e dall'angoscia e, in preda ad un irrefrenabile impulso, la penna prese a volare quasi da sola sui due fogli che avevo davanti: sembrava un aratro che scavava parole in un cantuccio sconosciuto della memoria, legandole in modo inconsueto, fantastico, traducendo in bianco e nero gli aliti di vento che sfioravo con la mente. Sentivo il mio animo che si addentrava in una foresta trasparente, dove l'unica realtà era il colore ed il suono.

Più tardi mia moglie venne a chiamarmi, preoccupata perché tardavo tanto. Andai a sciacquarmi i capelli e, dopo averli asciugati, me ne andai a letto, trovando mia moglie ancora sveglia e con i miei due fogli in mano: gli occhi le lucevano umidi. Non capivo: mi fissava e continuava a piangere... e, dietro le lacrime, una gioia radiosa.

"Com'è possibile?" mi diceva emozionata. "Hai scritto tu... questo? Che diavoleria hai inventato?"
Mi sdraiai accanto a lei strappandole i fogli di mano e prendendo a leggere. Mi sembrava che le lettere fossero fili ricamati e, man mano che lo sguardo le sfiorava, si scioglievano in guizzi di luce, nella mente... ed ecco il nitido rivelarsi della foresta, ecco il verde corrermi incontro. Sgorgava una melodia che s'incuneava dritto nell'animo. Il sole schiudeva delicate campanule, i pistilli baciavano petali di velluto... e si sprigionava uno sciame di note dolcissime che liberava emozioni profonde. Il dolce moto dell'animo si tuffava nella melodia.

Finii di leggere... e m'accorsi che avevo anch'io le lacrime agli occhi. L'armonia si allontanava e svaniva, lasciando tutto il mio essere immerso in un'ampia e ridente valle di quiete. Il senso di pace - sia in me che in mia moglie - durò un giorno intero. Quando lo rileggevamo... tornavano le emozioni e la melodia! Feci parecchie prove: nascosi una parola dello scritto, cambiai posizione ad un'altra... ma non funzionava: bisognava leggerlo così come l'avevo scritto, addirittura con la stessa punteggiatura. Modificando un solo dettaglio, l'effetto prodigioso non si produceva. Lo battei a macchina e ne feci parecchie copie, distribuendole agli amici più intimi: fece effetto su tutti. Provai a scriverne un altro a mente fredda, ma non generava sensazione alcuna. Com'era mia abitudine, la settimana dopo feci un'altra applicazione ai capelli con le solite erbe arancioni: sedetti al solito posto. Fuori c'era la luna. Quasi inconsciamente presi la penna in mano: cominciò a volare, libera, senza la guida della mia mente fredda. Riempii cinque fogli. Più tardi mi scossi dal torpore e presi a leggere: un'altra storia melodiosa, un tramonto, la brezza che muoveva la scia rossa sul mare, un incantevole sogno sulle ali di un'armonia che diventava respiro d'amore.

Sì, signor giudice... cominciò proprio così.

Era solo quando facevo le applicazioni ed esposto ai raggi della luna, che mi accadeva... Provarono anche mia moglie, i miei amici... senza esito alcuno. Cosa fosse accaduto, forse non lo sapremo mai. Ma sicuramente c'entravano le erbe, l'abuso che ne avevo fatto... e forse anche i bagliori lunari. Comunque, le idee musicali sgorgavano spontanee solo e soltanto in quelle particolari condizioni.

Mi scusi, signor giudice, se mi sono dilungato, e mi spiace veramente che lei non abbia potuto leggerne nemmeno una. Vede, il fatto più incredibile e meraviglioso di tutta quella storia era che, a parte il fiume di emozioni e di musica che donava una di quelle letture, restava poi nella mente e nell'animo una serenità che durava giorni interi. Giorni in cui si vedeva tutto da un angolo visuale diverso, in cui si dava importanza a tante piccole cose che la nostra vita frenetica ci ha fatto dimenticare... mentre se ne dava molto meno a tante altre che sono invece diventate la nostra droga quotidiana.

Poi i miei racconti cominciarono ad essere pubblicati da molti quotidiani. E la speranza prese ad accarezzare il sogno. Lieve, lentissima, incominciò una specie di mite rivoluzione sociale: cominciò a scemare la conflittualità fra operai e datori di lavoro, si andavano colmando abissi, si accorciavano certe distanze. Ma era soprattutto la domanda dei prodotti legati all'elettronica e all'informatica che andava calando rapidamente. Parecchie fabbriche cominciarono a chiudere. Il potere politico e quello economico si allarmarono. Soprattutto perché s'era ridotta quasi a zero la domanda e l'uso del vero, possente occhio del potere: la televisione.

Sì, signor giudice, fu proprio la televisione - il dio che ormai detiene le sorti del mondo! - che spaventò il potere e che soffocò il respiro al sogno. L'apocalittica profezia di Orwell era più vicina e concreta di quanto immaginassi. E così il reazionario, colui che aveva cominciato ad intaccare l'essenza stessa dell'uomo moderno (questo meraviglioso sistema chimico coerente dotato di programma!), l'uomo che aveva cominciato a minare la società evoluta nelle sue più sacre fondamenta posando la prima pietra per arrestare il progresso, ovvero... il sottoscritto! fu licenziato, stritolato, deriso... ed infine minacciato. Sapevo che non si sarebbero fermati lì, signor giudice, e prima del processo mi detti alla fuga.

Ora sono qui, seduto accanto a mia moglie, sopra un tronco d'albero, davanti ad una capanna di paglia a forma di cono. Di fronte a noi, alta e misteriosa, una montagna di origine vulcanica. Il sole sembra rallentare la sua corsa verso il crepuscolo ed il rosso polverio luminoso inonda il cratere della montagna... per annaffiare la radura tappezzata da odorose erbe arancioni.

Interrompo un attimo la lettera a causa delle grida dei ragazzi che giocano a rincorrersi, fermandosi davanti a me: un piccolo esercito di fanciulli indigeni col colore della pelle diversa da quella dei miei due marmocchi. Mia moglie ed io dobbiamo sforzarci per non scoppiare a ridere: tutte queste teste fasciate da caschi di pelle a treccia... sono veramente buffe! Peccato soprattutto per i riccioli neri di mia figlia. Forse intuendo i miei pensieri, il suo faccino pieno di vita si rivolge a me:
"Papà... ma questa roba dobbiamo tenerla in testa ancora per molto?"

Faccio spallucce... ed alzo gli occhi al cielo.
Mia figlia non fa in tempo a rannuvolarsi, che il chiassoso nugolo di bambini la trascina di nuovo con sé.

Addio, signor giudice, e non spranghi definitivamente il suo cuore: proprio mentre la saluto, in questo cielo purissimo si è levata una splendida luna. E forse il pessimismo di Orwell è stato eccessivamente catastrofico: è per questo che noi, quassù, coltiviamo erbe e speranze.



NOTA BIOGRAFICA


Adriano Petta ha collaborato a numerose riviste letterarie. Ha tradotto, dal castigliano, il racconto di Clarìn La duchessa del trionfo per la collanina "Classici in breve" della EDIS (1995), facendolo precedere da un piccolo saggio sull'arte del romanzo. Ha composto svariati racconti, riuniti nel volume La pietra di Blarney. Inoltre ha scritto i romanzi El murciélago de oro (in lingua castigliana) e La zattera di Lucifero (presentato sulla rivista CLIO-I-'90).

Nel 1992, la casa editrice "Gitti Europa" di Milano ha pubblicato la sua prima opera di narrativa: La libertà di Marusja. Nel 1993, la casa editrice "Edis" di Orzinuovi (BS) ha pubblicato il romanzo La guerra dei fiori (con una introduzione di Roberto Roversi). Nel mese di maggio 1996, in coedizione, La "Montedit" di Melegnano (MI) e la "Edis" hanno pubblicato il romanzo storico La via del sole.

Ha appena finito di scrivere il romanzo "La sinfonia maledetta" (in cui protagonista è la musica di Mahler), ed il romanzo giallo "La cattedrale dei pagliacci". Attualmente sta lavorando al secondo romanzo giallo ed alla riduzione cinematografica dei suoi romanzi.