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D. Izzo,
Parità come pari opportunità
Quando si parla di "pari opportunità" si parla
non solo di pari diritto a scegliere tra i curricoli che si credono
più rispondenti alle aspettative e ai bisogni delle singole
persone, ma si parla anche di pari diritto a scuole tutte garanti
della loro offerta di educazione e istruzione. Ovviamente, l'offerta
deve essere qualificata per far progredire e non squalificata
per far restare al palo di partenza.
Il diritto alle pari opportunità, riconosciuto a tutti
in base alle aspettative e ai bisogni relativi degli individui
e dei gruppi, si fonda su un contratto tra il singolo (o il gruppo)
e un'organizzazione delegata a fornire gli strumenti necessari.
Se io ho il diritto come gli altri a progredire culturalmente
e moralmente, chiedo di scegliere a misura delle mie risorse e
in vista dei miei progetti, un curricolo personalizzato o comunque
un curricolo idoneo a colmare quelle mie lacune di partenza che
mi impediscono di progredire.
Non dimentichiamo che le proposizioni come "pari opportunità"
o "diritto alle opportunità" sono basate su una
metafora. In realtà non esiste un metro. Ciò che
è uguale o disuguale rispetto alle opportunità
è del tutto relativo rispetto ai tempi, ai luoghi, ai bisogni
individuali e collettivi. Di qui la necessità del "contratto":
io chiedo quanto reputo per me utile e l'istituzione pubblica
mi dà quanto reputa possibile darmi in base a criteri che
sono anche superindividuali.
È istruttivo esaminare le risposte della politica scolastica
italiana alla parità intesa come pari opportunità.
Tra gli anni Sessanta e Settanta prevalse una concezione "metafisica"
(ossia vaga e del tutto inoperante sul piano concreto) della cultura
scolastica; si disse che tale cultura è destinata a coltivare
la globalità della persona e che perciò qualsiasi
via imboccata, oltre ad essere unica ( o tutt'al più unitaria)
era da ritenersi valida per tutti dal momento che il concetto
di persona è universale. Di qui due utopie: a) la scuola
unificante in quanto una, a prescindere da quel che insegna; b)
la maturità conseguita in qualsiasi scuola secondaria superiore
valida per tutti gli indirizzi universitari.
Tale concezione metafisica fu supportata, a quei tempi, da entrambe
le parti della coalizione politica. Per gli uni valeva la personalità
globale, concezione estranea a qualsiasi teoria scientifica dell'apprendimento;
per gli altri valeva l'idea fondamentalista dell'ugualitarismo
ad ogni costo, deprivato però dei mezzi necessariamente
differenziati a seconda dei bisogni individuali per mettere tutti
alla pari.
L'esperienza della scuola media unica insegna che sono stati necessari
trent'anni per ottenere che il 95% dei ragazzi riuscisse a conseguire
la licenza di scuola media. Inoltre, le analisi dei livelli di
apprendimento mostrano il permanere di rilevanti dislivelli tra
scuola e scuola e tra alunno e alunno, quasi sempre provocati
dalle diverse condizioni sociali. Non è il percorso comune
che permette di ottenere gli stessi risultati, ma metodologie
d'insegnamento diversificate, in relazione alle diverse motivazioni
e ai diversi stili di apprendimento.
L'esperienza e la ragione ci avvisano che un eventuale percorso
scolastico uguale per tutti, dall'inizio alla fine, da compiersi
entro i 16 anni, con una disseminazione di "saperi"
fuori di ogni logica di graduale apprendimento (secondo la quale
il passato illumina il presente e viceversa), è perdente
in partenza.
Pari opportunità non significa identici piani di studio
(cosa assurda) né identiche occasioni di esperienza (cosa
impossibile). Al di fuori dei piani di studio ufficiali, si moltiplicano
i centri di varia formazione e si moltiplicano le occasioni generate
dai dinamismi economici che, a loro volta, richiedono competenze
varie e variabili.
L'uguaglianza di opportunità educative richiede interventi
di orientamento e verifica delle attitudini in tutti i gradi di
istruzione. E non esclude affatto l'esigenza di una coerenza (o
congruenza) tra scuola secondaria superiore e indirizzi post-secondari.
Soltanto l'innesto tra cultura operativa (attività produttiva)
e operatività culturale (istruzione ai vari livelli) produce
opportunità individuali e collettive. Occorrono pertanto
cooperazione ad alto livello tra ricerca e sviluppo così
come occorrono sistemi formativi duttili ( per quanto concerne
la loro organizzazione interna) e flessibili (circa le loro capacità
di risposta al variare della domanda).
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